PROCESSO POPOLARE – PT.2
Breve riassunto della prima parte (Febbraio 2020 – Giugno 2020, che trovate qui per intero, come recitato il 20 giu 2020) e seconda parte (da Giugno 2020 a Giugno 2021, data del secondo presidio sotto Regione Lombardia)
Da febbraio 2020 ad oggi abbiamo assistito, giorno dopo
giorno, ordinanza regionale dopo ordinanza, al frantumarsi del mito
dell’eccellenza sanitaria lombarda. Con 33 737 persone morte, la sola Lombardia conta 1/4
dei morti italiani per Covid-19 registrati.
Come si è arrivati a questa tragedia? Cos’è successo da febbraio 2020 ad oggi?
E perchè è potuto accadere? La risposta è univoca: produci, consuma, crepa.
Questo il credo di chi ci governa, alla regione e al comune.
Ecco solo alcune delle cose che NON avete fatto, e non si tratta solo di
incompetenza, ma di una lucida linea politica che mette sempre al primo posto
il profitto di pochi rispetto alla vita, alla salute, al benessere di
tutti.
Aziendalizzazione della sanità, privatizzazione della cura, saccheggio
ambientale, diffusione della paura a mezzo stampa e repressione poliziesca sono
le vostre armi preferite.
Il tutto comincia a fine febbraio 2020: nelle stesse ore in cui si
scopriva il “primo caso” a Codogno, dai vertici della regione Lombardia
cominciavano a piovere ordinanze. Ordinanze contraddittorie e sanitariamente
insensate: come la prima che decretava la chiusura immediata di scuole, musei,
teatri, cinema e luoghi di cultura, che impediva manifestazioni e cortei MA lasciava
aperti i centri commerciali (non i supermercati, i centri commerciali).
Anche il sindaco di Milano, in questa iniziale foga in cui l’unica cosa
importante era far vedere agli elettori che qualcosa si stava facendo, a
prescindere da cosa fosse, si sbraccia contro la chiusura del suo
Comune, lanciando un video ed il tristemente noto “#milanononsiferma”. Come
ripeterà a Maggio: “a Milano si LA-VO-RA”. Non c’è tempo per la cura. Allo
stesso modo, la settimana della moda non verrà fermata, così come la partita
Atalanta-Valencia (vero e proprio focolaio) che porterà al diffondersi del
contagio nella bergamasca.
Quando si tratta di denaro, in questo sistema capitalista di cui i governanti
fan parte, non si guarda alla salute di nessun*.
Ed è proprio per questo che la Regione Lombardia, pur potendo, deciderà di non
dichiarare la zona rossa in Val Seriana e ad Alzano Lombardo, a
differenza di quanto fatto a Codogno: si tratta di due vallate dove hanno sede
alcune delle più grandi aziende lombarde, e Confindustria (quella che a Bergamo
lancerà l’ashtag “bergamoisrunning” per non perdere investitori esteri)
fa forti pressioni sui sindaci e sui vertici della regione. E’ così che i
decessi in provincia di Bergamo aumenteranno a marzo del 568% rispetto agli
anni precedenti, ed il virus raggiungerà il tasso di mortalità più alto al
mondo.
Ma non è ancora abbastanza per Confindustria e i politici chini al capitale:
quando il 23 marzo il governo Conte imporrà la chiusura, questa non
riguarderà le cosiddette “attività essenziali”, individuate dal codice ATECO
corrispondente. Moltissime imprese che avrebbero dovuto chiudere, rimangono
aperte con un semplice escamotage. Fanno richiesta di deroga al Prefetto e la
fabbrica resta aperta.
Nel mentre gli effetti della politica di tagli alla sanità pubblica, di aziendalizzazione
della cura e la conseguente privatizzazione del settore sanitario
(tre pilastri su cui si basa l’eccellenza lombarda da oltre 30 anni, grazie a
Formigoni, Maroni e Fontana) si manifestano all’improvviso: gli ospedali già
a metà marzo sono al collasso, non ci sono sufficienti posti in terapia
intensiva e i medici “#eroi” sono costretti a decidere chi
curare e chi lasciar morire. Gli ospedali sono diventati imprese (aziende
sanitarie e aziende ospedaliere), e come tali il loro obiettivo è il profitto,
non la cura.
C’era l’urgenza? Allora che si precettassero le cliniche e gli ospedali
privati, quelli che avevano guadagnato dall’aziendalizzazione, privatizzazione
e frammentazione del Sistema Sanitario Nazionale. Tra le altre ordinanze della giunta regionale, l’8 marzo si individuano le RSA
come strutture adatte ad accogliere i pazienti COVID post acuti per cure
extra ospedaliere. Conseguenza? I decessi per Covid-19 nelle sole RSA lombarde
a fine aprile saranno ben 2 219. E ancora: continuano a mancare i tamponi, senza è impossibile
tracciare la diffusione del virus, e quindi limitarla. Perché mancano?
Oltre alla mancanza di un piano pandemico nazionale e regionale
aggiornato, che avrebbe garantito la presenza dei dispositivi medici dove necessari,
pesano le responsabilità dei direttori della sanità lombarda, come Luigi
Cajazzo, che continuano a distribuire i DPI tra le ASST come prima della
pandemia, senza tener conte delle emergenze locali.
In quello stesso periodo, mentre scoppiano le rivolte nelle carceri di
tutta Italia, 21 milioni di donazioni vengono spesi per un ospedale che,
dopo aver ospitato solo 5 pazienti, chiude ai primi di giugno 2020. Parliamo
dell’ospedale in fiera che riesce solo a drenare personale da altri
ospedali già funzionanti a pieno regime, aumentandone le difficoltà. Perché
quei soldi non sono stati utilizzati per potenziare strutture già esistenti, o
per assumere personale aggiuntivo?
Il 16 aprile, poi, si scopre che la DAMA spa, azienda del cognato del
presidente Fontana, senza gara d’appalto si aggiudica la fornitura di 75mila
camici per l’ammontare di 513 mila euro. Il cognato, per togliersi
dall’imbarazzo, racconterà che si trattava di una donazione…ma si scoprirà che
mente perché la richiesta di trasformare il contratto di fornitura in una
donazione verrà inoltrata ad ARIA (azienda regionale degli acquisti) solo un
mese dopo. Fontana decide di restituire, di tasca sua, parte dei soldi così
persi al cognato…attingendo ad un conto corrente schermato in Svizzera
(contenente 5 milioni di euro): da dove arrivano tutti questi soldi? Fontana è
sotto indagine.
Pochi giorni dopo, a Gallera verranno offerti 20mila kit di test rapidi
gratuti, ma l’assessore non risponde. Perché? Perché c’è un accordo con una
società farmaceutica privata, la DIASORIN spa, che senza nessun concorso
pubblico ha usufruito di strutture e risorse pubbliche per la creazione di
questi test sierologici: non si poteva adesso venir meno all’accordo accettando
test gratuiti. Sempre per via di questo contratto, i vertici della lega (da
alcuni messaggi si evince il coinvolgimento di Salvini) faranno pressione
sui comuni che in autonomia vorrebbero fare campagne di screening con test
sierologici a proprie spese.
L’estate, grazie all’arrivo del sole e delle alte temperature, regala
qualche settimana di tregua con abbassamento dei contagi. Si sarebbe potuto
approfittare di questo preziosissimo momento per cominciare, finalmente, una campagna
di tracciamento seria, al fine di evitare come poi è invece successo il
risorgere dei contagi in autunno.
Ma, invece, d’estate non sarà fatto nulla: nemmeno i lavori che erano necessari
negli ospedali per affrontare la prevista seconda ondata. Non solo: dopo 10
bandi, a Ottobre la Lombardia si trova ancora senza le dosi necessarie per
garantire un’adeguata copertura anti-infuenzale. Sarebbe già grave in una
situazione normale, ma durante una pandemia diventa un errore mortale: il
vaccino, infatti, può evitare la necessità di ricovero di centinaia di persone,
riducendo perciò il sovraccarico sulle strutture ospedaliere.
COSA ACCADE DA OTTOBRE IN POI? LA SECONDA ONDATA E I VACCINI ANTI-COVID
21 OTTOBRE: MANCANO ANCORA LE USCA!
In Lombardia sono attive 46 USCA (Unità Speciali di Continuità
Assistenziale) su 200 previste: mancano medici e i pazienti a casa rischiano di
non ricevere cure.
Quello delle USCA resta un tema irrisolto in Lombardia: dovevano essere dei
team di medici preposti a fornire le cure ai pazienti positivi al Covid e
sintomatici ma non ricoverati in ospedale. Una decina sono quelle delle
province di Milano e Lodi, a Bergamo se ne contano 6 mentre a Brescia, dove
avrebbero dovuto essere 25, ne sono state attivate solo 4 con 9 medici in
servizio.
22 OTTOBRE: LE RESPONSABILITA’ DI LUIGI CAJAZZO
L’ex dirigente della Sanità Lombarda, Luigi Cajazzo, è indagato dalla
Procura di Bergamo insieme ad altri funzionari della Regione Lombardia
nell’ambito dell’inchiesta con al centro la gestione della pandemia, le mancate
zone rosse e in particolare il caso dell’ospedale di Alzano, prima
chiuso e poi riaperto nell’arco di poche ore (fine Febbraio 2020).
Luigi Cajazzo è un ex poliziotto, che ha ottenuto la poltrona di direttore
generale della sanità lombarda nel 2018 da Giulio Gallera in persona.
Era direttore generale anche quando, durante la prima ondata covid, in
Lombardia si decise di continuare a distribuire dispositivi di protezione
personale non negli ospedali in cui era in corso l’emergenza
(Bergamo, Brescia pertinenza dell’ASST Bergamo Est) ma in quelli dove
per consuetudine se ne mandavano di più (Lecco, Monza e Como, dove i casi di
Covid erano pochi): all’ASST Bergamo est, ad esempio, arriveranno lo stesso
numero di camici che arriveranno alla Valtellina, dove i positivi erano solo 8
(contro le diverse centinaia della bergamasca). Questa distribuzione
irrazionale andrà avanti per settimane.
Mancano i tamponi per tracciare i contagi dentro gli ospedali, con la
conseguente morte di 30 medici nella provincia di Bergamo: ARIA qui
distribuisce 5 000 tamponi, contro i 10 000 di Lecco, di Como, di Varese, di
Monza dove il contagio è minimo.
Cajazzo era al vertice dell’Unità di Crisi della regione Lombardia quando
scoppia il caso dei caschi per l’ossigeno: dall’azienda ospedaliera
Bergamo Est arriva la richiesta urgente, urgentissima (tra marzo e aprile 2020)
dei caschi Cpap per tenere in vita pazienti ricoverati per Covid;
richiesta che non arriverà mai all’azienda che li fornisce perché qualcuno
si dimenticherà di mandargli la mail di richiesta.
La responsabilità del dis-funzionamento di questi organi è di Luigi
Cajazzo e del suo vice Marco Salmoiraghi, entrambi indagati anche
perché fautori dell’ordine di riaprire il pronto soccorso di Alzano dopo che il
virus si è diffuso al suo interno (fine Febbraio 2020).
Che fine ha fatto Cajazzo?
E’ stato rimosso dal vertice dell’Unità di Crisi della regione Lombardia, ma
è stato promosso a vice segretario generale della Regione con delega
alla riforma della Sanità.
22 OTTOBRE: IL COPRIFUOCO
La richiesta di coprifuoco inoltrata a Roma dai vertici di regione Lombardia
diventa realtà. La circolazione in tutte le lande della nostra soffocante
pianura sarà impossibile tra le 23 e le 5.
Fontana cerca di correre ai ripari, cioè di fuggire alle proprie inadempienze e
incapacità.
La regione identifica l’individuo come unico responsabile dei contagi,
quindi la migliore arma in assoluto diventa il rispolverare pratiche di guerra
per reprimere i comportamenti individuali. Giustamente si pensa di
sconfiggere il virus sopprimendo ogni brandello di libertà invece che
supportare il sistema sanitario e rivedere la governance della società in
maniera etica e solidale.
Qual è il senso di impedire la circolazione dalle 23 alle 6 del mattino?
L’esercizio del potere è la risposta. Questa intenzione non è nemmeno
celata dal governatore Fontana che in un intervento dice: “Questo
provvedimento è anche simbolico, dobbiamo dare un duro colpo alla movida
selvaggia, dato che non riusciamo a controllare la popolazione”. Quindi
polizia, esercito e tutte le altre forze dell’ordine come risposta alle vitali
esigenze per contrastare la seconda ondata di contagi.
Storia già vista, come quando alla mancanza di abitazioni si risponde con gli
sgomberi; o come quando alla mancanza della cittadinanza si risponde con la detenzione
amministrativa.
I luoghi della socialità, dell’istruzione e della cultura non dovrebbero essere
visti come sussidiari, dovrebbero valere come vitale linfa per le nostre vite. La
solitudine diventa imperante in questo stato d’emergenza dove le restrizioni
riguardano solo ciò che di libero desideriamo svolgere, senza coinvolgere mai
le attività produttive.
26 OTTOBRE MEDICI E INFERMIERI: IN QUARANTENA MA SOLO DOPO L’ORARIO LAVORATIVO
La Lombardia introduce per i lavoratori della sanità la ‘quarantena part-time’. Se un lavoratore della sanità è venuto a contatto con una persona positiva al Covid-19 è tenuto a stare in quarantena durante il suo tempo libero, quando torna a casa, ma può e deve recarsi al lavoro!
Queste le indicazioni contenute in una circolare della direzione generale dell’assessorato al welfare della Regione Lombardia, inviata alle Direzioni Generali di Ats, Asst: “Si precisa che gli operatori sanitari durante il periodo di sorveglianza attiva sono tenuti a rispettare la quarantena nelle restanti parti della giornata, ovvero nel tempo extra lavorativo“.
Scelta incosciente e pericolosa sia per la salute delle lavoratrici e dei lavoratori che dei cittadini tutti e che fa ridiventare gli ospedali luoghi non sicuri e fonte di infezione, con il personale sanitario nel ruolo di involontario untore.
LOMBARDIA DI NUOVO IN LOCKDOWN!
Il teatrino tra il governatore Fontana, il premier Conte e il sindaco Sala si ripropone a Ottobre come a Marzo: prima Fontana non vuole la zona rossa ed il lockdown, poi lo vuole ma solo se nazionale, poi il lockdown del governo è uno “schiaffo ai lombardi annunciato all’ora di cena”, poi frigna perché la Campania non è zona rossa…ed il sindaco Sala segue a ruota le idiozie di Fontana, dichiarando (27 ottobre): “Ho appena ricevuto un messaggio sms di un virologo di cui mi fido molto, che dice ieri c’erano circa 80 pazienti intubati a Milano e 200 in Lombardia. La conclusione è che anche nella peggiore delle ipotesi avremmo 10-15 giorni per decidere un eventuale lockdown”.
E nel mentre che si perde tempo prezioso, si diffonde nuovamente il contagio: ma adesso è peggio che a Marzo, perché davanti a noi non abbiamo l’estate, ma mesi di freddo.
Il 25 OTTOBRE, mentre ci veniva spiegato che un altro lockdown non era fattibile, venivano confermati quasi 16 000 casi di coronavirus. Mentre Conte diceva di non voler nemmeno sentir nominare il lockdown, a Napoli gli ospedali erano pieni da più di due settimane, e si stava concludendo una settimana durissima per il sistema sanitario sardo.
Una settimana dopo, l’1 novembre, dopo una settimana di inazione sia da parte del governo che delle regioni, i casi totali sarebbero saliti a 26 225. E dopo ancora una settimana, l’8 novembre, si contano 32225 casi positivi. In queste due settimane, i morti totali saranno 3 368. Ci si sta velocemente avvicinando al picco dell’ondata di ottobre-novembre 2020.
Elencare questi numeri non ha solo una funzione retorica: indica l’effetto materiale dell’attesa della autorità, anche nelle settimane ancora precedenti, quando misure iperlocali potevano fare la differenza, quando ci si poteva ancora sforzare per rinforzare i meccanismi di tracciamento in tutto il paese.
Il nuovo DPCM, quello delle “zone rosse”, arriverà solo il 5 novembre.
Senza la messa in discussione del modello economico e sanitario, il lockdown crea solo ulteriore povertà, malessere psicologico e fisico, emarginazione, disuguaglianza sociale. Il lockdown non basta, serve tornare a investire nel welfare, serve garantire la sicurezza sui trasporti pubblici aumentando le corse, serve chiudere le fabbriche luogo di contagio e garantire ai lavoratori e alle lavoratrici il necessario per vivere.
Che siano i ricchi, che siano le grandi aziende che in questi mesi hanno lucrato sulla nostra salute e sulla nostra reclusione domestica a pagare!
Grandi imprese della logistica (come Amazon), case farmaceutiche (come DIASORIN), grande distribuzione e supermercati: ecco chi ha guadagnato dall’epidemia e dalle misure governative. Cosa aspettiamo a redistribuire la ricchezza da loro accumulata?
NOVEMBRE 2020: CI MANCANO GLI INFERMIERI
Che ne servivano decine di migliaia in più anche prima della pandemia era evidente a chiunque avesse mai provato a prenotare una visita con il SSN: manca non solo il personale infermieristico, ma anche medici e strumentazioni. I piani per aumentarne il numero e contrastare il coronavirus non sono bastati o sono falliti. Anni di mancati investimenti e di tagli di spesa sul servizio sanitario nazionale hanno portato a una grave carenza di personale medico che è diventata evidente durante la prima ondata dell’epidemia da coronavirus e che, nonostante molti proclami e annunci, non è stata risolta in vista della seconda. A mancare sono tante figure professionali, dagli anestesisti ai medici di famiglia: ma tra quelle di cui si è sentita più l’assenza negli scorsi mesi ci sono gli infermieri, una delle categorie contemporaneamente più sottodimensionate in Italia e più importanti nella gestione di un’epidemia, negli ospedali come nelle RSA.
Le stime sugli infermieri che mancano al sistema sanitario nazionale variano a seconda delle federazioni o dei sindacati che le calcolano, ma in linea di massima se ne stimavano 50mila in meno rispetto al reale fabbisogno prima dell’epidemia.
Nelle settimane del lockdown gli/le infermier*, insieme ai/alle medic* delle terapie intensive, erano stati eletti a simbolo dell’eroica resistenza all’epidemia. I loro sforzi, i turni sfiancanti e il sacrificio personale erano stati ampiamente raccontati e celebrati, con l’implicita promessa che le cose sarebbero cambiate una volta superata l’inattesa prima fase della pandemia. Ma non è stato così. Dopo la prima ondata, il governo ha cercato di aumentare il personale con nuove assunzioni ma si parla di contratti scandalosi, a tempo determinato o come libero professionista a 16 euro l’ora. E infatti molti bandi degli ospedali sono andati deserti. La prospettiva di lavorare in un luogo ad alto rischio come un ospedale, con un contratto di pochi mesi e senza tutele in caso di malattia, è una prospettiva poco attraente per molti.
Per ogni infermiere c’è una media di 11 pazienti, l’ideale sarebbero 6. La carenza di infermieri negli ospedali è ancora seria ed è aggravata oggi dal fatto che, mentre i reparti Covid stanno tornando ad affollarsi, gli ospedali devono continuare a garantire le cure agli altri malati. Alcune prestazioni ordinarie che a marzo, aprile e maggio erano state rimandate, sono diventate ora urgenti, per l’aggravarsi dei pazienti.
L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Sono 65 i giorni di sforamento del limite di PM10 nel 2020 a Milano (contro i 35 quelli consentiti da legge). Di questi, ben 11 nei primi 15 giorni di novembre. Le malattie respiratorie derivanti dall’inquinamento in pianura padana sono uno dei motivi di vulnerabilità al coronavirus della popolazione lombarda, e quindi uno dei motivi per cui l’epidemia ha colpito così duramente la regione. La necessità di respirare un’aria pulita dovrebbe essere, soprattutto in questi mesi, centrale nelle politiche regionali.
Invece la giunta di Sala e la Regione Lombardia hanno agito in maniera opposta: mancato piano di rinforzo del trasporto pubblico, un misero piano di mobilità alternativa (dopo qualche ciclabile, null’altro è stato fatto per ridurre il numero di auto private in circolazione), prolungamento della sospensione delle aree B e C. Ed il fatto che il nuovo lockdown non abbia inciso sui livelli di polveri sottili, potrebbe farci capire che un lockdown in cui si deve andare a lavoro e non ci sono i mezzi pubblici per farlo, sta peggiorando soltanto la situazione.
1 NOVEMBRE: TOTI, GLI ANZIANI E IL VALORE PRODUTTIVO DELLE PERSONE Breve storia triste. Il presidente leghista della Liguria esterna la sua opinione non richiesta sul covid e sugli anziani:
Solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate.
Non sono necessari ulteriori commenti.
2 NOVEMBRE: SCIOPERO NAZIONALE INFERMIERI
Contratti non rinnovati, paghe più basse d’Europa, enormi carichi di lavoro per mancanza di personale. Le richieste avanzate riguardano massicci investimenti per assunzione di personale a tempo indeterminato, adeguamento contrattuale e retributivo alla media europea, coinvolgimento nelle scelte di tipo organizzativo, potenziamento dell’assistenza territoriale (a partire dal piano USCA), riconoscimento di un’indennità infermieristica mensile. La questione del collasso dei reparti di medicina e delle sale rianimazione è legata soprattutto all’assenza di personale per far funzionare le strutture a disposizione.
La cosa più efficace sarebbe stata il potenziamento dei dipartimenti di prevenzione territoriali e l’attuazione di un serio e stabile piano di assunzioni e non riciclare sempre lo stesso personale.
Nella crisi lombarda, in particolare, pesano due scelte scellerate di Regione Lombardia:
– lo spostamento di personale tecnico nell’ospedale in Fiera, per far funzionare il quale si chiedono unità agli ospedali, a loro volta in deficit di personale;
– la misura della “quarantena part-time”, per cui se un lavoratore della sanità è venuto a contatto con un positivo Covid-19 è tenuto a stare in quarantena solo durante il proprio tempo libero.
15 NOVEMBRE: I MEDICI DI NIGUARDA SULLA SECONDA ONDATA
L’ospedale Niguarda è stato scelto come hub covid dalla regione Lombardia. Durante la prima ondata, l’ospedale era totalmente impreparato a ospitare pazienti contagiati. Ci si sarebbe aspettato che, nei mesi estivi, con lo svuotamento delle terapie intensive, fossero state messe a punto le misure di sicurezza che erano mancate nella prima ondata.
Ma non è così. Dentro l’ospedale, l’area “pulita” è separata dall’area “sporca” da un nastro adesivo messo a terra. Non c’è la ventilazione adeguata per le terapie intensive: ci sono solo delle vecchie finestre in un padiglione degli anni ’30. Non ci sono nemmeno sufficienti prese elettriche. Durante l’estate i lavori di ristrutturazione hanno riguardato solo i vialetti esterni.
E non è tutto. Da marzo a oggi, nessuno ha fatto uno screening sistematico degli operatori sanitari. E’ così che i pazienti si positivizzano in ospedale, contagiati dal personale sanitario che, lo ricordiamo, deve fare la quarantena solo nel proprio tempo libero. Stessa situazione anche al Policlinico, al San Carlo, al Sacco e in altri ospedali milanesi.
Riportiamo un estratto della lettera mandata dai medici del Niguarda a Fontana:
“Oggi a Milano il sistema di tracciamento dei contagi è inefficiente e si riflette in uno spreco di risorse pubbliche enorme. I contatti da parte di ATS per la sorveglianza dei positivi sono in ritardo di settimane, arrivando al paradosso che i cittadini contagiati vengono contattati alla fine del periodo di isolamento domiciliare. Questa falla nel tracciamento lascia alla responsabilità individuale il compito di isolarsi e comunicare la propria positività ai contatti a rischio, senza alcun intervento effettivo da parte delle istituzioni. Tutto ciò ha delle conseguenze gravissime sul sistema sanitario regionale, sulla diffusione della pandemia e sulla salute dei cittadini. L’inefficienza del sistema di identificazione e tracciamento da parte di ATS porta ad un incremento esponenziale dell’utilizzo dei servizi di screening privati (tamponi ed esami ematici sierologici) che colmano la mancanza di accessibilità ai servizi pubblici. La speculazione della sanità privata, con l’indiretta ma concorrente complicità della mala gestione sanitaria pubblica, è inaccettabile.
I fondi per la gestione dell’emergenza dovrebbero essere equamente suddivisi tra: il potenziamento dei sistemi di cura (ampliamento dei posti nelle terapie intensive e ottimizzazione delle misure a sostegno degli ospedali pubblici e del personale sanitario) e i sistemi di prevenzione. Alla dirigenza della sanità pubblica lombarda sfugge che la cura, ad un fenomeno pandemico di questa portata, è data primariamente dalla prevenzione, così come raccomandato dalle Linee Guida dell’OMS, mentre il trattamento dei malati è molto più complesso e dispendioso. La nostra impressione è che gli sforzi e gli investimenti riservati alla cura dei malati, non siano equamente bilanciati sul fronte della prevenzione.”
22 NOVEMBRE, STATO DI AGITAZIONE AL S. PAOLO E S. CARLO: NE’ EROI NE’ CODARDI
La pandemia è in corso ormai da più di 8 mesi e il numero dei deceduti nella sola regione Lombardia ha superato le 20 mila persone, in tutta Italia le 50 mila. I responsabili di queste morti e del tracollo della sanità hanno nomi e cognomi e siedono ai vertici, centrali e regionali, e nelle sedi dei grandi imprenditori. Dalla prima ondata è evidente che questi vertici non abbiano imparato nulla, o meglio che non abbiano voluto imparare nulla, mettendo sempre gli interessi di pochissimi davanti al bene collettivo.
A non aver voluto imparare nulla è stato anche il direttore generale Matteo Stocco, di Forza Italia, del San Paolo e del San Carlo, l’ennesimo tassello del fitto potere delle destre ai vertici di tutte le aziende sanitarie della Lombardia. Da una lettera firmata da 50 operatrici e operatori sanitari del San Paolo e San Carlo viene fuori uno squarcio di questa tragedia, che poteva essere assolutamente evitata:
“Contro la nostra volontà e, soprattutto, contro la nostra coscienza umana e professionale, ci vediamo forzati a dilazionare l’accesso a terapie e tecniche potenzialmente curative (intubazione orotracheale e ventilazione non invasiva) e non poter trattare tempestivamente, con adeguata assistenza e in ambiente appropriato, tutti i pazienti che ne potrebbero beneficiare”.
Mancano i mezzi tecnici, come i posti letto, e mancano i mezzi umani, come professionisti preparati e formati. Le nuove assunzioni degli ultimi mesi sono più che altro andate a integrare i pensionamenti, ed i neolaureati che sono stati buttati nei reparti d’urgenza non hanno l’esperienza e la formazione necessaria. Ancora una volta, ci si chiede cosa sia stato fatto durante l’estate. Perché non siano stati fatti corsi di formazione al personale ed estesi i contratti a chi era stato chiamato per la prima ondata.
E’ così che la mancanza cronica di medici anestesisti, ad esempio, li costringe a scegliere tra chi curare e chi lasciar morire.
Un* infermier* sale sul tetto del Dipartimento emergenza-urgenza del San Carlo per appendere uno striscione e urlare la sua verità alzando le braccia, altri manifestano e protestano.
La risposta di Stocco: pressioni sul personale affinché ritiri le firme. Pressione agita tramite ricatti lavorativi e il licenziamento della primaria del reparto da cui è partita la protesta. Il tutto in piena emergenza Covid, con 350 posti letto già occupati, le barelle che si trasformano in letti e le sale di attesa in reparti.
E’ indetta una giornata di sciopero per il 14 dicembre.
18 NOVEMBRE: CAOS CAMPAGNA ANTINFLUENZALE IN PIENA PANDEMIA
A giugno 2020, il ministero della salute fa sapere di aver “pubblicato la Circolare Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2020-2021, elaborata dalla Direzione Generale della Prevenzione sanitaria“. Vista l’attuale situazione epidemiologica relativa alla circolazione di Covid 19, il documento raccomanda di anticipare la conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale a partire dall’inizio di ottobre.
11 novembre, mercoledì, esattamente 41 giorni dopo, in Lombardia la campagna di vaccinazione antinfluenzale è totalmente in alto mare. A dirlo, da tempo, sono i numeri, sono i medici e sono i sindaci dei comuni lombardi. Regione Lombardia non riesce a garantire i vaccini ai cittadini, anche i più fragili, che ormai sono esasperati, così come lo sono i medici. Ormai in molti sono costretti a pagarli di tasca propria rivolgendosi ai privati. Le dosi sono insufficienti, inferiori addirittura agli obiettivi già al ribasso che la Regione si era posta.
25 NOVEMBRE: REGIONE LOMBARDIA PERDE ALTRI 150MILA VACCINI ANTINFLUENZALI
Vaccini che avrebbero dovuto esserci e invece non ci sono più. Sono i vaccini che avrebbe dovuto procurare la società Studio Dr. Mark & Dr. D’amico Srl che si era aggiudicata la decima gara della confusa rincorsa con cui Regione Lombardia prova (e non riesce) ad accaparrarsi le dosi da garantire almeno alla fascia più esposta della popolazione. Un bando lampo che è rimasto aperto solo 24 ore e che aveva fatto subito discutere dopo che si è scoperto che un piccolo studio dentistico di Bolzano aveva vinto la fornitura promettendo dei vaccini provenienti dall’India attraverso un intermediario turco e nonostante la società non avesse nemmeno i requisiti per partecipare al bando.
25 NOVEMBRE: FORMIGONI COME PONZIO PILATO
Si lava le mani delle sue responsabilità e in una intervista assolutamente NON richiesta dichiara: “Con Maroni devastata la medicina di base a favore degli ospedali. La sanità lombarda indebolita da lui, non da me“.
Eletto nel 1995 presidente della Lombardia, Formigoni è il regista della legge regionale n.31 dell’11/7/1997 che rivoluziona la sanità lombarda, il privato entra prepotentemente nel Servizio Sanitario Regionale, formalmente per cooperare alla pari con le strutture pubbliche, nei fatti per essere supportato e foraggiato dal pubblico, riservando per sé i settori più remunerativi della sanità e dell’assistenza, quali ad esempio i reparti di alta specializzazione in cardiologia o le RSA lasciando al pubblico la gestione dei settori meno redditizi quali ad esempio i servizi di pronto soccorso e la psichiatria.
La riforma sancisce la separazione in aziende differenti: aziende di servizi sul territorio e aziende ospedaliere, con un continuo impoverimento dei primi sia in risorse materiali che umane. Anche le assunzioni del personale vengono orientate in modo da potenziare alcuni reparti più remunerativi e abbandonare ulteriormente a se stessi gli altri. Sono ridotti i controlli regionali sulle strutture accreditate e molti servizi vengono esternalizzati.
Viene lasciata mano libera all’esercizio della professione privata da parte dei medici dipendenti delle strutture pubbliche, che cresce fortemente e che diventa il modo più semplice per ovviare, da parte di chi può pagare, alle liste d’attesa che aumentano proprio sotto la gestione Formigoni.
CONSUMARE PRIMA DI TUTTO – NATALE 2020
Gli ospedali sono al collasso. Ma i 23 000 morti che a fine novembre pesano sulla coscienza della giunta lombarda non bastano a portare l’attenzione dei media e della politica sui temi urgenti e importanti.
E’ così che il dibattito si sposta su come tenere aperti i negozi per le compere di natale. Attenzione: non si cerca di ottenere una “tregua” dal lockdown nei giorni di natale, bensì nelle due settimane prima di Natale.
Lo scopo non è permettere la socialità e il momento di ritrovo, né permettere i festeggiamenti: lo scopo è permettere il consumo. Se non fosse ancora chiaro, per chi ci governa siamo consumatori, non persone. Come andrà a finire? Il 13 dicembre Basilicata, Calabria, Lombardia e Piemonte passeranno in area gialla, fino al 24 dicembre: regioni e Confindustria ancora una volta riescono a mettere in secondo piano la salute dei propri cittadini per incrementare i profitti.
15 DICEMBRE: “ANCHE SE QUALCUNO MORIRA’, PAZIENZA”
Queste le parole pronunciate da Domenico Guzzini, presidente di Confindustria Macerata, al convegno “Made for Italy per la moda”.
Riprendiamo le parole del comunicato del CSA Sisma di Macerata:
“Le dichiarazioni di Guzzini hanno senza dubbio un sinistro merito, per il quale dovremmo per assurdo ringraziarlo, se non fosse per i loro tragici risvolti: esplicitano il pensiero che l’associazione degli industriali ha sempre avuto nel corso dell’attuale fase di crisi. E lo fanno brutalmente, togliendo per una volta il velo sul disprezzo per la vita umana e sulla violenza quotidiana della classe dominante. Confindustria fin dal primo momento ha svolto un ruolo nella gestione politica dell’emergenza, con le scelte del governo al servizio del tristemente noto “produci, consuma, crepa”. Ciò che conta è il capitale e i grandi profitti, se questo costerà qualche vita… pazienza.
Sono gli stessi industriali che non vogliono la patrimoniale, che vorrebbero far cadere il peso della crisi sui lavoratori e le lavoratrici e per i quali le aperture/chiusure sono negoziabili puramente in termini economici, al servizio dei grandi interessi.
L’emergenza sanitaria che stiamo attraversando è un fenomeno tutto interno alle dinamiche del sistema capitalistico, conseguenza dello smantellamento del sistema sanitario pubblico e della progressiva privazione del diritto universale alla salute. Il virus è il capitalismo, ma i capitalisti vorrebbero farci credere che saranno loro a salvarci.”
3 GENNAIO: VACCINI IN LOMBARDIA – PRONTI, PARTENZA E RITARDO!
Dopo il vax day del 27 dicembre, la “fase 1” del piano vaccinale contro il coronavirus parte a rilento.
Un numero di somministrazioni che vede l’Italia al settimo posto in termini assoluti nella graduatoria mondiale. Ferie arretrate, carenza di personale sanitario, siringhe inadeguate sono alcune delle spiegazioni fornite dalle Regioni finite sotto accusa.
In particolare la Lombardia dopo una settimana rimane l’ultima regione per somministrazioni, avendo effettuato solo il 3% dei primi 80mila vaccini a disposizione.
Ma l’assessore alla Sanità lombardo Giulio Gallera non ci sta: “Agghiacciante una simile classifica. Per non parlare di quelle regioni che hanno fatto la corsa per dimostrare di essere più brave di chissà chi.”
Frasi paradossalmente pronunciate da chi pochi mesi prima faceva a gara per dimostrare che la sanità lombarda era meglio.
Gallera spiega che la campagna vaccinale partirà in Lombardia solo il 4 gennaio con «Abbiamo medici e infermieri che hanno 50 giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa».
Ma a quanto pare queste scuse agghiaccianti (notare come ancora una volta il governo regionale si lava le mani dalle proprie responsabilità, stavolta dando la colpa ai medici in ferie) per la prima volta non sono condivise dal resto della giunta lombarda. Dai vertici leghisti giunge la sfiducia: «Non sta né in cielo né in terra la scusante dei medici in ferie. Non possiamo ritardare le vaccinazioni con una giustificazione simile»
6 GENNAIO: GALLERA SILURATO PER RIPULIRE L’IMMAGINE DELLA GIUNTA Martedì mattina il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha annunciato che nei prossimi giorni cambieranno alcuni assessori del governo regionale lombardo, sostenuto dal centrodestra e guidato da Attilio Fontana, della Lega. Giulio Gallera, assessore al Welfare in quota Forza Italia, divenuto molto conosciuto durante l’epidemia da coronavirus, da mesi al centro di critiche e controversie riguardo alla gestione dell’emergenza viene sostituito da Letizia Moratti, ex ministra dell’Istruzione e sindaca di Milano dal 2006 al 2011. Ve la ricordate? Nuova assessora, stessa MERDA!
15 GENNAIO: FONTANA FA RICORSO MA POI SCOPRE CHE L’ERRORE E’ SUO
La Lombardia è pronta a presentare ricorso contro la decisione del governo di collocare la regione in zona rossa. “Non condividiamo la scelta di inserire la Lombardia in zona rossa per cui, qualora dovesse arrivare questa ordinanza, proporremo ricorso“, strimpella il presidente della regione, Fontana.
Peccato che poi si scoprirà che è stato Fontana a mandare i dati sbagliati al Ministero…Fontana e Moratti negano che i dati fossero sbagliati, ma la notizia è stata confermata in un lungo comunicato stampa diffuso dal ministero della Salute.
Che dire, un buon inizio per l’assessora Moratti: dal duo della vergogna al duo comico!
18 GENNAIO: I VACCINI IN BASE AL PIL
Ripartire i vaccini anti-Covid anche in base al Pil della Regione: questa la richiesta della NEO assessora lombarda Letizia Moratti al commissario Arcuri. “Qui tante imprese, se si aiuta la ripresa si contribuisce alla ripresa del Paese“. Fontana concorda: “Richieste estremamente coerenti e logiche“.
Letizia Moratti non ha aspettato troppo per rivelare la sua idea di società: più vaccini ai più ricchi.
Ricordiamo ai capitalisti e agli smemorati che la salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione. Non un privilegio per chi ha di più!
2 FEBBRAIO: ARRIVANO I RINFORZI!
Guido Bertolaso nominato consulente per la gestione delle vaccinazioni in Lombardia.
Dopo l’”egregio” lavoro di consulenza iniziato nel marzo del 2020 con la realizzazione dell’ospedale di emergenza all’interno della Fiera di Milano, adesso il grande amico di Berlusconi ottiene un nuovo incarico. Nel mentre, l’ospedale in fiera è stato considerato da medici ed esperti assolutamente inutile e dannoso (in quanto per riempirlo si sono drenate risorse umane già scarse da altri ospedali pienamente funzionanti) e infatti per questo praticamente inutilizzato.
VACCINO SI’, VACCINO NO, VACCINO BOH: E’ COLPA DEL PORTALE
10 marzo 2021: ennesima falla nel sistema informatico gestito dalla società regionale Aria Spa.
“Stiamo mettendo mano nel sistema informatico sulla gestione delle vaccinazioni perché qualcosa non ha funzionato. Quella dei vaccini non deve essere una corsa a chi arriva prima, ma una campagna fatta in modo sensato” così il presidente Fontana, pochi giorni dopo aver promesso insieme ai suoi soci Letizia Moratti e Guido Bertolaso di fare il miracolo vaccinando 8 milioni di lombardi entro giugno.
Ma ripercorriamo gli eventi:
A gennaio le Poste Italiane offrono alla Regione Lombardia a titolo gratuito tre tipologie di piattaforme per la prenotazione dei vaccini: il cittadino avrebbe potuto prenotare il vaccino scegliendo luogo e data della vaccinazione. La regione però, quindi in questo caso Bertolaso in primis, vuole un “portale di adesione”: il cittadino si prenota e solo dopo gli viene comunicata data e ora per la vaccinazione.
Perché questa scelta? Probabilmente perché a gennaio la Lombardia non era pronta logisticamente a gestire la campagna di vaccinazione (d’altronde, Gallera era impegnato con le ferie dei medici, poi a farsi licenziare e dopo di lui Moratti pensava a distribuire i vaccini in base al PIL regionale…non c’era tempo di pensare agli anziani da vaccinare!).
E’ così che Bertolaso chiede alle poste di modificare il loro sistema gratuito, ma poste dice di no e allora…Bertolaso gira la richiesta ad ARIA. Che accetta l’incarico per 18 mln di €, e poi però si ritrova in pochi giorni a dover costruire da zero un portale che possa gestire le prenotazioni di 10 mln di abitanti.
E accade l’ovvio:
sms inviati in ritardo, anziani chiamati a vaccinarsi a centinaia di chilometri dalla propria residenza e dal centro vaccinale più vicino, errori nelle convocazioni che portano o a sovraffollare i centri vaccinali o ad averli vuoti col rischio di buttare migliaia di dosi di vaccino inutilizzate, lasciando alle singole Asst o ai sindaci il compito di arrangiarsi per risolvere i problemi: così accade a Cremona, Crema, Monza, Bergamo, Varese, Milano, Como etc.
A quel punto Fontana chiede le dimissioni del CdA di ARIA in una conferenza stampa.
Ma attenzione: dimissioni solo del CdA, non del responsabile tecnico. Responsabile tecnico e direttore generale che si chiama Lorenzo Gubian, manager vicino alla Lega, che all’improvviso sostituisce l’intero CdA divenendo amministratore unico di Aria.
Infine, per mettere a tacere ogni polemica, la Regione Lombardia torna sui suoi passi, abbandona il sistema di Aria e passa al portale gratuito di Poste dal 2 aprile.
Dopo circa 2 mesi di ritardi, in cui i morti continuano ad aumentare. Dopo aver speso 18 mln di €, soldi pubblici, pagati da quegli stessi cittadini che non riceveranno il vaccino fino al ritorno di Poste e all’arrivo di Figliuolo a gestire le vaccinazioni in Italia.
Ci teniamo a sottolinearlo: se oggi la Lombardia riesce a somministrare un elevato numero di vaccini, non è merito della giunta lombarda, che anzi ha solo contribuito a far perdere milioni di € e diverse settimane di tempo.
LEGGE REGIONALE 23/2015
MAGGIO/GIUGNO 2021: È una pura illusione l’idea che la strage provocata in Lombardia dalla dismissione dei servizi sanitari pubblici e dall’affidamento ai privati di prestazioni fondamentali possa avere insegnato qualcosa alla coppia Fontana-Moratti.
Infatti, il 26 maggio la giunta regionale lombarda ha approvato il piano per la sanità privata 2021, un vero regalo ai grandi gruppi del settore. Il finanziamento previsto, per ricoveri e visite ambulatoriali presso strutture private aumenta enormemente sino a 7,5 miliardi ed è la cifra più alta mai stanziata.
Nel 2019 il finanziamento fu di 2 miliardi.
Dei finanziamenti resi disponibili per i privati, circa 3 miliardi riguardano tra l’altro servizi socio-assistenziali sul territorio, vale a dire attività che dovrebbero per definizione essere pubbliche, ma che in Lombardia sono già preda dei privati.
Questa è la lettura che Fontana e Moratti propongono della “Case della comunità” previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza?
La lettura della bozza di riforma che l’assessore Moratti ha presentato fa nascere nuovi e profondi dubbi sulla bontà dell’idea e sulla ricaduta sul territorio sarà effettiva. Si ha l’impressione che regione Lombardia voglia annunciare ai quattro venti di voler cambiare tutto per non cambiare niente, ingannando per l’ennesima volta medici, infermieri, operatori in prima linea ma soprattutto le cittadine e i cittadini lombardi!
In questa bozza non esiste nessun accenno alla salute
mentale (si stimano 150 mila nuovi casi di depressione dovuti alla sola
disoccupazione da pandemia), alla necessità di aumentare ulteriormente le
case della comunità (previste dal piano nazionale, che saranno una ogni 50 mila
abitanti e invece dovrebbero essere ogni 25 mila), la questione delle liste
d’attesa (ora una vera emergenza) ,l’assenza dell’obbligo di presentare i
bilanci per le strutture private accreditate e SOPRATTUTTO la questione del
rapporto pubblico/privato.
Dalla bozza si può facilmente prevedere che la crescita del privato, nel nome
di una strumentale formula di libertà di scelta, prosegua anche con la Riforma
che la vice presidente sta promulgando in perfetta continuità con il passato.
1 giugno alla presentazione di ieri delle linee guida
di riforma della sanità lombarda, Letizia Moratti dichiara: “Al fine di
creare delle sinergie tra il Sistema socio-sanitario lombardo e le attività
produttive in un’ottica di ulteriore miglioramento della qualità del servizio
socio sanitario, il testo di legge prevede l’attivazione di rapporti di
collaborazione tra direzione generale Welfare e le aziende produttive sulle tre
linee indicate: Welfare Aziendale, Ricerca Biomedica e Trasferimenti
tecnologici”.
Dopo aver promosso la “Maroni” (legge 23), ecco il salto di qualità. Dal
trasferimento delle risorse pubbliche, 50% della spesa sulla sanità ai privati,
la Regione si fà propulsore di realizzazione strategiche del privato e mercato
della salute. Non c’è solo questo, ma quello che c’è, da subito è la
riconferma della legge 23, poi la cartina fumogena e per il resto se ne
parlerà.
Questo è un processo popolare e la sentenza arriva dal basso in nome della giustizia sociale:
VISTE
le innumerevoli responsabilità politiche accumulate nel corso degli scorsi anni e rese evidenti dal diffondersi della sindemia da covid-19, comprendenti (elenco non esaustivo):
– incapacità di concepire e perseguire una società fondata sul benessere, sulla solidarietà, sul mutuo aiuto e sul rispetto della vita di ogni terrestre;
– volontà di promuovere e inchinarsi ad un sistema capitalista fondato sulla competizione, sull’interesse privato, sull’avidità, sulla discriminazione e sul disprezzo per il bene altrui;
– incapacità di tutelare la salute delle persone e dell’ambiente, incentivando un sistema produttivo fondato sull’estrattivismo antropocentrico e sull’accumulo di sostanze tossiche e nocive per la vita terrestre;
– volontà politica di sorvegliare, punire, reprimere chiunque non si adegui ai vostri comandamenti: produci, consuma, crepa;
– volontà esplicita e consapevole di perseguire un sistema sanitario fondato sulla ricerca del profitto e non sulla tutela della salute delle persone;
– volontà politica di non garantire diritti fondamentali come quello all’abitare ma di perseguire la repressione come mezzo per nascondere le vostre colpe;
– volontà politica di edificare una società basata sulle discriminaizoni di genere, di classe, di razza;
VISTE
le innumerevoli responsabilità politiche accumulate nel corso dell’attuale sindemia da covid-19, comprendenti (elenco non esaustivo):
– scelte politiche consapevoli volte a mettere in pericolo l’integrità del diritto inalienabile ad avere una sanità pubblica, territoriale, laica e gratuita per tutt_;
– volontà esplicita di prendere accordi con esponenti di grandi aziende e loro organi rappresentativi (Confindustria) volti non a tutelare il benessere dei cittadini bensì il guadagno dei suddetti soggetti privati;
– chiara volontà di favorire la sanità privata a discapito di quella pubblica;
-sfruttamento del personale sanitario e sua strumentalizzazione durante i periodi più acuti delle curve dei contagi;
– compimento di azioni volte di fatto ad aver creato una pandemia colposa con migliaia di morti;
NOI
vi consegniamo questo
VERBALE DI VIOLAZIONE E ALLONTANAMENTO
Che con effetto immediato prescrive per volontà popolare la decadenza di ogni vostro mandato amministrativo agente sul territorio regionale e comunale.