IL CEMENTO COSI’ BELLO, PRENDERA’ ANCHE IL TICINELLO?
Vogliamo provare a raccontarvi una storia. Ma prima dobbiamo spiegarne le premesse, abbiate pazienza.
Non si tratta di una storia inventata, non è frutto della nostra fantasia, ma è purtroppo una storia verosimile che prende spunto dal greenwashing a cui la giunta milanese ci ha abituato negli ultimi anni. E con greenwashing intendiamo quella “forma di appropriazione indebita di virtù e qualità ecosostenibili per conquistare il favore dei consumatori o degli elettori (e sappiamo che da quando alla guida del comune c’è un manager, la differenza si è fatta così sottile da diventare impercettibile) o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione dovuta ad attività che compromettono l’ambiente.“
E’ una definizione che è stata usata dai diversi comitati cittadini di tutela dell’ambiente: la usiamo per parlare dell’assessore all’ Urbanistica/Verde/Agricoltura e del rettore del Politecnico quando pensiamo allo scempio del parco Bassini, la usiamo per parlare della costruzione imposta e inutile delle vasche del Seveso, la usiamo per riferirci allo scempio che si prepara nel quartiere San Siro, la usiamo per riferirci all’abbattimento del bosco spontaneo della goccia di Bovisa, lo usiamo per la furba cementificazione prevista per il parchetto di pza Baiamonti, e così via.
Come abbiamo anticipato, le storie come quella che vogliamo raccontare sono tante.
IL PARCO DEL TICINELLO
La nostra storia, però, ha luogo nella periferia sud di
Milano, dove con orgoglio resiste un piccolo parco naturale con vocazione
agricola: il parco agricolo Ticinello.
Si tratta dell’ultima propaggine di quella che dovrebbe essere la “green
belt” meneghina, ossia il Parco Agricolo Sud Milano (PASM). Nella
pianificazione territoriale, l’idea di costruire una “cintura verde”
nei dintorni di città già esistenti è forse la più antica forma di controllo
dell’espansione urbana (nasce negli anni 30 in Gran Bretagna). Nella cintura
verde non dovrebbe essere possibile realizzare nuovi edifici, gli eventuali
grandi progetti dovrebbero essere vagliati da una rigidissima pianificazione
territoriale, si dovrebbe poter edificare solo per scopi agricoli, e non
dovrebbe essere possibile nessuna deroga.
Usiamo il condizionale perchè ci riferiamo al PASM. Si tratta di uno dei più
vasti parchi peri-urbani d’Europa, ma anche uno degli esempi più lampanti di
come NON applicare il metodo della cintura verde: il parco nasce fin da subito
come un colabrodo più che come una fascia verde, nei cui buchi ogni
amministrazione comunale ha la propria esclusiva autonomia decisionale per
quanto riguarda l’uso del suolo. E’ così che il parco subisce ogni anno la
perdita di diversi ettari di suolo fertile per far spazio a cemento e
infrastrutture.
Ed il prossimo pezzettino di parco ad andarsene, potrebbe proprio essere il Ticinello.
Il parco Ticinello è un gioiellino di circa 90 ettari (quasi il doppio del parco Sempione) incastonato tra le torri bianche di Gratosoglio, il quartiere popolare Stadera e quello del Vigentino. E’ la protuberanza del Parco Sud che più si avvicina al centro città. Si tratta di una zona verde caratterizzata storicamente dal percorso del cavo del Ticinello e da un territorio agricolo, dove sono presenti anche due cascine: la Campazzo, affittata dal comune ad un’azienda agricola privata, e la Campazzino, bellissima cascina in pessimo stato di conservazione, recentemente interessata da un “avviso pubblico per raccogliere manifestazioni di interesse” (di cui parleremo) e dalla costruzione dei nuovi orti in sostituzione di alcuni precedentemente esistenti (parleremo anche di questo).
All’interno del Progetto triennale del Comune “Milano Città di Campagna – La Valle del Ticinello” 2014/2017, il parco viene così descritto:
Il Parco Agricolo Ticinello rappresenta un raro esempio di agricoltura tradizionale all’interno di un tessuto urbano come quello del Comune di Milano. La qualità della gestione e della manutenzione del Parco consente caratteristiche paesaggistiche ormai poco frequenti in ambienti agricoli di pianura; ne sono esempio i campi a marcita (pratica agricola spesso abbandonata, perché non più economicamente remunerativa); la presenza di roveti, siepi e filari; il mantenimento di schianti e di alberi morti; oltre a tutte le attività extra-agricole che ruotano intorno alla Cascina Campazzo, ormai punto di riferimento per la comunità della zona. Il risultato è tale da apparire evidente e fortemente in contrasto con le zone agricole limitrofe.
Ma non è tutto. Il parco è un rifugio importantissimo per molte specie di uccelli e lepidotteri. Sempre con le parole dei tecnici assoldati dal comune:
“I monitoraggi faunistici hanno ben evidenziato gli effetti positivi che la gestione degli ambienti agricoli, in particolare degli elementi “non produttivi”, può avere sulla biodiversità. Questo grazie soprattutto al mantenimento di siepi, filari, piccoli incolti, rovi e accumuli di legno morto. Uccelli e farfalle diurne hanno mostrato preferenze verso questo approccio “sostenibile” alla gestione del paesaggio agrario.”
In queste righe, viene riconosciuta l’importanza di mantenere specie arbustive selvatiche, incolto, rovi e legno morto. Si tratta di ambienti che fanno parte del “terzo paesaggio” (per dirla alla Gilles Clement), luoghi abbandonati dall’uomo dove la natura poco alla volta ricrea un habitat selvatico ad elevata biodiversità. E questa riappropriazione selvatica funziona così bene che nel Ticinello sono segnalate ben “due specie di interesse comunitario, elencate cioè nell’Allegato I della Direttiva 2009/147/CE (“Direttiva Uccelli”): si tratta di Martin pescatore e Averla piccola, il cui stato di conservazione in Italia è giudicato rispettivamente come inadeguato e cattivo. Per queste due specie non è stata confermate la nidificazione nell’area, ma si auspica che gli interventi di miglioramento ambientale possano contribuire a favorirla in futuro.”
Ma di quali interventi stiamo parlando? Entriamo nel vivo.
L’area del Ticinello è attualmente interessata dal 2° Lotto del Progetto Parco Agricolo Ticinello (la realizzazione del Lotto 1 si è conclusa da pochi mesi) di un progetto di “riqualificazione” del comune di Milano. PASM e Municipio 5 hanno dato parere favorevole alla realizzazione del progetto esecutivo. Nessuno in quartiere ne sapeva niente, perché “il progetto non è partecipato” .
E così il Comune sperava di spendere 3.4 mln in un progetto che al quartiere non piace per nulla.
CHE COSA PREVEDE IL PROGETTO?
“L’obiettivo di progetto generale è quello di creare un parco con valore paesaggistico, naturalistico e culturale legato alle attività agricole, favorendo una fruizione compatibile con il contesto attraverso la valorizzazione e l’integrazione degli elementi caratteristici oggi presenti. In sintesi si punterà a valorizzare le aree di accesso e i margini, a riqualificazione i percorsi, il sistema irriguo e dei relativi manufatti, e a valorizzare il patrimonio arboreo/arbustivo anche in funzione delle connessioni ecologiche e della biodiversità” (sito del Comune di Milano)
Belle parole, ma leggendo la relazione paesaggistica allegata al progetto esecutivo del lotto 2, ciò che emerge in realtà è la forte volontà del comune di trasformare quello che è un parco agricolo, con zone selvatiche e spontanee, ricco di biodiversità e per questo unico e prezioso, in una sorta di finto-giardino del centro città, con illuminazione a giorno, sentieri battuti per non sporcarsi le scarpe e molti, molti alberi in meno. Insomma, l’intento evidente è quello di snaturare e antropizzare l’intero parco, in nome della “riqualificazione”…e di una possibile futura variazione d’uso del suolo (come vedremo più avanti).
La visione politica di fondo è sempre quella antropocentrica che mette al primo posto lo sfruttamento di ongi angolo di verde per l’interesse umano, per cui ogni angolo verde debba per forza essere trasformato ed adattato per i nostri bisogni.
UN PROGETTO PIENO DI CONTRADDIZIONI
Ma andiamo per ordine. Le più gravi incongruenze del progetto lotto 2 sono 4:
1) I SENTIERI IN CALCESTRE:
Nel lotto 2 si prevede la realizzazione di quelli che vengono identificati come “percorsi naturali”, che devono permettere ai visitatori di spostarsi dentro al parco (senza sporcarsi le scarpe possibilmente, come nei migliori finti-giardini di porta Nuova).
I percorsi in calcestre sono composti da diversi strati: sul terreno viene posato un foglio di polipropilene (plastica!), poi uno strato di inerti bonificati, quindi un collante chimico e infine uno strato di ghiaia.
Tutto ciò è equivalente ad una perdita di suolo vivo, e definire “naturale”, “green” il calcestre solo perchè mantiene una certa permeablità si chiama greenwashing: fra 30 anni, che ne sarà stato del foglio in polipropilene? Ulteriore inquinamento da microplastiche nel terreno e nell’acqua?
Il tutto, inoltre, in barba ai vincoli paesaggistici a cui è sottoposto il parco (DGR 9210 DEL 30.03.09, riguardante la tutela del paesaggio agrario).
Il numero di percorsi che si vorrebbe così realizzare, poi, è a dir poco sproporzionato per un ambito agricolo e naturalistico (ma non per un giardino…): ben 9 sentieri, alcuni lunghi più di 500 m, che taglierebbero e frammenterebbero così il parco (e la frammentazione degli habitat naturali comporta spesso anche l’estinzione delle specie più sensibili).
Inoltre, ciò che vorrebbe fare il comune è spendere soldi per ricoprire con questa miscela chimica di terra e plastica (ed il pensiero corre subito alle borracce in alluminio che l’assessore si vantava di regalare agli studenti per combattere l’inquinamento da plastica) dei percorsi che sono già utilizzati dai frequentatori del parco, e che basterebbe sottoporre ad una buona manutenzione e piccoli interventi non invasivi che non modificano l’essenza e la funzione che svolgono.
Sono percorsi-sentieri di campagna e non strade urbane, ci teniamo a ricordarlo.
2) INQUINAMENTO LUMINOSO:
Tutti questi percorsi artificiali, ovviamente, devono essere illuminati: le solite ragioni di “sicurezza” (o meglio, le solite paure agitate dai partiti per farci accettare qualsiasi decisione) porteranno all’accensione di più di 60 lampioni…rigorosamente a led eh!
Questa sovrabbondanza di illuminazione notturna non è compatibile con le specie che nel parco si sono radicate. L’intervento andrebbe a scombussolare i cicli naturali ed i bioritmi di molte specie, causandone l’allontanamento e la perdita. E a quel punto, cosa dovrebbero osservare i visitatori del giardino?
Ma oltre ai lampioni led, si arriva all’assurdo leggendo che “alcuni elementi [d’illuminazione] sono stati inseriti con intento estetico e scenografico: è il caso delle strip-led inserite nelle panche e dei 4 proiettori al suolo che illuminano dal basso alcune alberature significative” e ancora, nell’Area Selvanesco-Zona fruitiva è prevista l’installazione di 270 m di cordoli con Led segnapassi, una sorta di pista illuminata…che male potrà mai fare!?
Anche qui, basterebbe rispettare le leggi che i nostri governanti scrivono e poi “dimenticano”: il principio di rispetto del ciclo naturale è previsto dalla Legge Regionale n. 31/2015 che definisce l’inquinamento luminoso come un fenomeno negativo per gli ecosistemi e/o per la perdita di biodiversità.
E ancora: per il regolamento per la gestione degli orti urbani della zona 5, i nuovi orti presenti vicino alla cascina Campazzino (esempio di cementificazione lasciatoci dal lotto 1, orti angusti, recintati e ancora in attesa di assegnazione) sono fruibili solo dall’alba al tramonto: a cosa serve mantenere un’illuminazione a giorno pure di notte?
3) L’ABBATTIMENTO DI 156 ALBERI:
Veniamo al nocciolo dell’intervento di riqualificazione del Comune. Conosciamo tutti il progetto “ForestaMi”, che prevede la piantumazione, dentro il comune di Milano, di 3 milioni di alberi entro il 2030…no, di piante. No, nell’area metropolitana. No, gli alberi saranno solo centomila. No, anzi, facciamo che si tratta di “piante equivalenti” (Piero Pelizzaro, il Chief Resilience Officer comunale, 16/12/2020). Ecco, questo esilarante progetto di greenwashing non ferma ovviamente il Comune dall’abbattimento di alberi decennali. E la scusa è sempre la stessa: “tanto poi ne piantiamo di nuovi”. Peccato che 10 alberelli di 3 anni piantati al posto di un esemplare di 50 o più anni…non sono la stessa cosa! Non forniscono i servizi ecosistemici di una pianta adulta e, inoltre, su dieci alberi piantati spesso ne muoiono 7 per mancanza di cure e acqua, come accaduto nel parco di fronte a Zam due estati fa.
Nel caso del Ticinello, il numero e le motivazioni per cui si vogliono abbattere alberi sono allucinanti.
Si tratta di 156 alberature presenti soprattutto lungo il corso del Cavo che taglia il parco, distribuite su poche centinaia di metri. Si tratta di una fila disordinata e selvatica di alberi che, grazie proprio alla loro spontaneità, garantiscono l’esistenza di una nicchia ecologica che ospita una varietà di specie (soprattutto avifauna in primo luogo) che lo rendono meta privilegiata delle passeggiate naturalistiche all’interno del Parco. Si tratta anche di un corridoio ecologico (uno dei pochi strumenti per opporsi alla frammentazione degli habitat): sempre nel progetto “Milano Città di Campagna – La Valle del Ticinello” 2014-2017 è evidenziato il ruolo connettivo affidato al Cavo Ticinello ed alla relativa fascia ripariale. Ma la parte più assurda sono le motivazioni che dovrebbero giustificare gli abbattimenti:
– più di 80 alberi (noccioli, olmi, pioppi, fichi, allori, nespoli, salici, sambuchi, allori e ciliegi) verranno abbattuti perché considerati “Gruppi disordinati di piante” (c’è scritto davvero così!!)
– circa 70 hanno la sola colpa di essere specie alloctone indicate come invasive (ailanti e robinie), ma ci chiediamo a chi stiano dando fastidio e se non siano invece la casa di diverse specie dell’avifauna.
Le piante abbattute per motivi di “sicurezza idraulica” sono la minoranza, ed al loro posto, per garantire stabilità che questi alberi fornivano alla sponda, verranno costruite sponde in cemento.
Gli abbattimenti sono già cominciati…
4) LE NUOVE ALBERATURE
Nel secondo lotto è prevista la piantumazione di alcuni alberi (che faranno parte dei 100 000 di forestaMi); si tratta di:
– filari di ciliegi, alberi che non sono mai stati utilizzati con questo scopo nella pianura irrigua del Sud Milano
– filari di Salici e Querce in luogo dei filari di Pioppi che tradizionalmente delimitano i campi e disegnano il paesaggio; anche Salici e Querce non vengono utilizzati tipicamente in filare
Le alberature piantate recentemente sono per lo più querce, alberi a lento accrescimento che produrranno ombra tra una trentina di anni.
UN FUTURO DI PRIVATIZZAZIONE E CEMENTO?
Siamo finalmente arrivati alla breve storia verosimile che volevamo raccontarvi. Ci siamo scervellati chiedendoci perché, per quale motivo, il comune dovesse spendere adesso, in piena emergenza sanitaria, con centinaia di altri interventi più urgenti, questi 3.4 mln di euro per rendere un parco ricco di biodiversità un finto-giardino con qualche piccione annoiato?
Ci siamo guardati intorno, abbiamo dato un’occhiata alle speculazioni edilizie che stanno per accaparrarsi il vicino scalo ferroviario di pta Romana, i palazzinari che allungano le mani sulla goccia in Bovisa, le grandi società estere che vogliono speculare su san Siro…e abbiamo percepito un terribile presentimento: troppe volte questa giunta del greenwashing ha svenduto pezzi di città (e hinterland! Vedasi la storia di Expo) alla lobby del cemento e del tondino parlando di “riqualificazione”. Con effetti ambientali (consumo di suolo, distruzione dei microclimi dovuti ai grandi alberi abbattuti, cattura delle emissioni atmosferiche, …e tutti gli altri benefici che si perdono tagliando alberi in città) e sociali (gentrificazione, aumento dei prezzi degli affitti e dei prezzi della vita, allontanamento dai quartieri centrali dei residenti più poveri, sovraffollamento nelle periferie, etc) devastanti, tipici di questo capitalismo estrattivista, e della politica paternalistica, produttivista e classista di Beppe Sala.
Questa è la storia del parco Ticinello, ambientata in un futuro non remoto.
Era un prezioso parco selvatico ai bordi della grande città. Una città nevrotica, grigia, che continuava ad allungare le mani su ogni spazio verde di aria pulita. All’inizio il Ticinello era un parco naturale con vocazione agricola, ma già gli indizi precursori del consumo di suolo si andavano magicamente allineando. Iniziò tutto con un “avviso pubblico per raccogliere manifestazioni di interesse“: 25 immobili, di cui 13 cascine storiche, venivano identificate come “luoghi rimasti a lungo senza identità”. All’epoca ci venne da ridere e da piangere, e lottammo perché luoghi come Cascina Torchiera e Ri-Make, che si opponevano ai tentacoli del capitalismo da decenni, luoghi ricchi di vita, laboratori, centri di produzione e riproduzione di contro-cultura e arte, adesso erano indicati come “senza identità”.
Tra le altre cascine, c’era anche la Campazzino: più che cascina, ormai, era un vecchio edificio in mattoni, in stato di abbandono.
“Come fare per attrarre privati? Come fare per renderla appetibile? A noi servono soldi, e non vogliamo chiederli a chi più ne ha: palazzinari e ricchi borghesi sono i nostri azionisti di maggioranza!”, pensava contrito il sindaco-manager.
Ma ecco che gli viene in aiuto un progetto, “secondo lotto” si chiamava, perché il primo aveva già terminato di fare i suoi danni. Il secondo lotto permetteva la tanta agognata “riqualificazione”: il parco naturale, ricco di biodiversità, che circondava la cascina poteva essere reso un monotono giardino simile a quelli appena finiti in Porta Nuova! E fanculo agli uccellini, con quelli non si guadagna. E allora costruiamo strade in calcestre, e mettiamo lampioni e tagliamo quegli alberi che son brutti da vedere!
Fu così che arrivò il privato, entro nella cascina, la sistemò coi suoi soldi e iniziò un’attività agricola…biologica, sia chiaro! Ma dopo tutta questa fatica, quelle strade in calcestre non andavano bene per i suoi camioncini: sindaco, vogliamo l’asfalto! E il sindaco come poteva dire di no: alla fine che differenza c’è tra calcestre e asfalto?! E così arrivarono le auto, ed i consumatori potevano finalmente andare a comprare nel nuovo supermercato-km-0 della cascina, o a mangiare nel ristorante: quanto costavano, ma quanto erano green!
E così i privati scoprirono nuovi guadagni, e perché non mettere a rendita anche i terreni lì intorno? Tanto ormai l’uso non era più naturalistico, con quelle auto, quella luce, senza gli alberi, la biodiversità si era ridotta a qualche piccione e due cani (in gabbia, sia mai!).
Chiesero così al comune di cambiare la destinazione d’uso del lotto, da terreno agricolo-parco ad edificabile…il sindaco bofonchiò, la giunta tremò, qualcuno uscì dall’aula tutto arrabbiato, altri risero e ne presero il posto…ed al pgt successivo, cominciò la storia del Ticinello: non più un parco, ma un nuovo quartiere…tutto green eh!
Le foto sono riprese dalla pagina fb Associazione Parco Agricolo Ticinello